Il signor Joseph Ratzinger è riuscito ad evitare di essere giudicato da un Tribunale USA solo perché, come capo di Stato, il Pontefice romano non è processabile.
ROMA - La Corte Distrettuale del Texas non si è
ancora pronunciata in merito alla procedura giudiziaria
civile presentata contro Papa Benedetto XVI, accusato di
complotto per coprire le molestie sessuali contro tre
ragazzi da parte di un seminarista: ma dopo l’intervento
dell’Amministrazione Bush è assai probabile che la
denuncia venga respinta. Nel corso del mese di agosto, Daniel J. Shea, l’avvocato americano che aveva citato in giudizio il Pontefice quando era ancora Cardinale, era venuto a Roma su invito del partito Radicale; in quell’occasione aveva auspicato che George W. Bush non concedesse l’immunità diplomatica a Papa Benedetto XVI nell’ambito del procedimento - civile, non penale - aperto in Texas. Lo scomodo caso era approdato infatti anche sul tavolo del presidente degli Stati Uniti. Insieme a Joseph Ratzinger, nel procedimento aperto nel gennaio 2005 sono citati l’arcivescovo di Galveston, monsignor Joseph Fiorenza e i sacerdoti Juan Carlos Patino Arango e William Pickard. Patino, colombiano di nascita, è attualmente latitante ed era stato accusato da tre giovani che frequentavano la chiesa di San Francesco di Sales, a Houston: le molestie risalirebbero alla metà degli anni Novanta, e contro il seminarista è stato aperto un procedimento penale.
Le accuse mosse a Ratzinger riguardano invece un
documento emesso nel 1962 dalla Congregazione per la
Dottrina della Fede: una "Istruzione" dal titolo "Crimen
Sollicitationis", che sanciva la competenza esclusiva
della stessa Congregazione su alcuni gravi delitti,
secondo quanto stabilisce il Codice di Diritto Canonico,
tra cui «la violazione del Sesto Comandamento (Non
commettere atti impuri) da parte di un membro del clero
con un minore di 18 anni». Inquadramento assurdo, secondo
l’avvocato Shea, visto che a differenza degli altri
delitti (dalla violazione del sigillo sacramentale a
quelli contro il sacramento eucaristico) la pedofilia «è
un reato, non un peccato». L’avvocato aveva raccontato che in un primo tempo Ratzinger non aveva risposto alle accuse, ma quando il processo ha preso il via, gli avvocati del Cardinale - a quel punto divenuto Papa, il 19 aprile scorso - avevano richiesto al Governo degli Stati Uniti l’immunità riservata ai capi di Stato. Il coinvolgimento di esponenti delle gerarchie cattoliche nelle inchieste giudiziarie sulla pedofilia non è insolito, ma di norma i procedimenti giudiziari non potevano essere avviati perché era impossibile consegnare agli accusati i documenti legali necessari: la denuncia contro Ratzinger è invece potuta andare avanti perché l’allora Cardinale ricevette personalmente l’atto di accusa. In agosto, Shea aveva dichiarato che in caso di concessione dell’immunità avrebbe dato battaglia: in primo luogo, perché all’epoca dei fatti contestati Joseph Ratzinger era un semplice cardinale, e poi perché "riconoscere la Santa Sede come uno Stato sarebbe una violazione della Costituzione statunitense", in particolare della "establishment clause" che proibisce leggi che proteggano in modo speciale confessioni o organizzazioni religiose. 21 settembre 2005 - Fonte: Corriere della Sera
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POLONIA - maggio 2006 Gravi responsabilità
della Chiesa
Sono stato deportato quando avevo 15 anni con tutta la mia famiglia: i genitori, il nonno, i miei due fratelli, mia sorella e uno zio e della mia famiglia. Sono l’unico sopravvissuto. Sono stato rinchiuso in quel luogo di vergogna per l’umanità intera che si chiama Auschwitz, il lager costruito per lo sterminio totale del popolo ebraico dove si uccidevano e si riducevano in fumo e cenere fino a 10.000 esseri umani al giorno. Una ecatombe senza fine; una fila interminabile di uomini, donne, vecchi, bambini che arrivavano da tutta Europa dopo un viaggio allucinante, un viaggio verso l’abisso, compressi in carri bestiame. Giorno e notte dopo la selezione dell’arrivo, i prigionieri venivano avviati verso quegli orrendi stabilimenti dove ininterrottamente usciva dalle ciminiere fumo e fiamme, costruiti con criteri scientifici da uomini anche colti, certamente anche intelligenti, da persone abituate alla vita quotidiana, persone come me, come voi. E tutto tra l’indifferenza del mondo perché tutti sapevano; non sapeva forse l’uomo della strada ma i governanti, alleati o nemici della Germania, la Croce Rossa, il Vaticano non potevano non sapere. Nessuno si è mai chiesto dove erano diretti quei treni di disperati che attraversavano l’Europa? E che magari rimanevano fermi nelle stazioni, grandi e piccole, per ore e ore e la gente sentiva, vedeva quello che accadeva, sentiva il pianto dei bambini, i lamenti dei malati, le invocazioni degli adulti che imploravano che venisse data un po’ d’acqua che i prigionieri stavano morendo di sete. Non possono scomparire 6.000.000 di esseri umani nel nulla.
Nel libro pubblicato dalla Camera dei Deputati “Le leggi razziali e la persecuzione degli ebrei” che il presidente Violante volle che fosse distribuito a tutti i parlamentari quando era in discussione in Parlamento il progetto di legge per l’istituzione del giorno della memoria, è riportata una vignetta pubblicata sul periodico dei giovani fascisti intitolato “libro e moschetto” (vedi immagine a sinistra) che è sintomatica e che, per il suo contenuto, è agghiacciante. Raffigura un barattolo di vetro con immerso nell’alcool lo stereotipo dell’ebreo; sull’etichetta c’è la scritta “Fetus Judeum. Facsimile di una brutta razza vissuta fino al 1940 sterminata poi da uomini di grande genio". E poi la didascalia: “ecco come ci ricorderemo degli ebrei nel 2000.” E poiché nessuno poteva immaginare l’inimmaginabile, ritengo che nell’ambiente dove la vignetta è nata fossero già a conoscenza del programma di sterminio che sarebbe stato poi attuato. Una vignetta del genere avrebbe dovuto scatenare l’indignazione di gran parte della popolazione e principalmente delle autorità religiose. Invece niente, solo indifferenza.
[a proposito dei rapporti nazisti-Vaticano, vedi scheda, N.d.R.]
Come vittima della Shoà certamente il mio giudizio non può essere distaccato. Ha detto Tullia Zevi, e io concordo pienamente con lei,: “Il passato va giudicato senza spirito di vendetta, ma anche senza revisioni ingiustificate, senza amnesie, senza assoluzioni gratuite, senza subdoli perdonismi.” Non mi meraviglia più di tanto che la Chiesa cattolica e per essa il pontefice Pio XII non siano intervenuti per fermare il genocidio. Io sono stato arrestato il 7 aprile 1944, sabato e prima sera della Pasqua ebraica. Il giorno successivo era il giorno di Pasqua, la Pasqua cattolica. Il venerdì precedente, venerdì santo, in tutte le chiese del mondo ancora una volta veniva lanciata la maledizione contro i “perfidi giudei” “popolo deicida”, e tra i perfidi giudei c’ero anch’io come c’era anche il piccolo senza nome, figlio di Marcella Perugia, nato il 17 ottobre 1943 nel collegio militare di Roma a due passi dalla Città del Vaticano dove gli ebrei rastrellati nella grande razzia del ghetto di Roma erano stati rinchiusi, che fu ucciso e dato alle fiamme il 23 ottobre successivo subito all’arrivo ad Auschwitz. E che cos’è la maledizione se non invocare la punizione divina? Ecco allora che per i cattolici credenti, poiché la preghiera non può ridursi ad un rituale senza significato, la loro invocazione è stata esaudita. Ci sono voluti ancora tanti anni, il Papa buono Giovanni XXIII e il Concilio Vaticano II per togliere questa maledizione dalla liturgia di Pasqua. E’ certo che se l’80% degli ebrei italiani si è salvato è stato perché è stato aiutato da non ebrei a sfuggire alla cattura e tra i salvatori molti appartenevano al clero che avevano per iniziativa personale anticipato la risoluzione del Concilio Vaticano II. Sono quelle persone che noi ebrei chiamiamo “Giusti”, “Giusti delle genti” perché, come è detto nella tradizione ebraica, “chi salva una vita salva il mondo intero”.
Io penso che se quel 16 ottobre 1943, quando gli ebrei rastrellati nel ghetto di Roma erano ancora rinchiusi al collegio militare, il Papa si fosse presentato davanti a quel cancello anche senza pronunciare una parola, aprendo soltanto le braccia in segno di croce, come aveva fatto il 19 luglio 1943 a San Lorenzo sulle macerie del primo bombardamento di Roma, gesto che aveva anche il significato di un abbraccio, di una partecipazione, ne sono convinto, almeno da Roma non ci sarebbe stata deportazione. Ne è la riprova quanto accaduto a Sofia dove quando già erano pronti i carri bestiame nella stazione e gli ebrei erano già stati rastrellati, ci fu l’opposizione del Primate ortodosso e del vicepresidente del Parlamento bulgaro Dimitar Pechev e di numerosi parlamentari che pure erano fascisti, che pure erano riconoscenti verso il nazismo che aveva consegnato la Macedonia alla Bulgaria che l’aveva sempre rivendicata. Malgrado questo si opposero e tutti i 50.000 ebrei arrestati vennero rilasciati. Altro esempio è quello della Danimarca, dove il Re Cristiano X protestò vigorosamente con i nazisti per l’imposizione delle leggi anti-ebraiche e quando gli occupanti ordinarono l’applicazione della stella gialla sugli abiti degli ebrei comunicò loro che anche lui avrebbe applicato la stella gialla sui suoi abiti. E i nazisti ritirarono l’ordinanza e dalla Danimarca non ci fu deportazione di ebrei. Da questi due esempi si evince che se ci fosse stata una forte opposizione morale da parte di coloro che avrebbero dovuto e potuto farlo il massacro si poteva quantomeno ridurre. |
Danneggiano... cosa?!?! Dal discorso del 28 ottobre 2006 di Benedetto XVI Non è che, per caso, le violenze
sessuali danneggiano anche... |