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Origini dell'uso delle immagini
nel cristianesimo

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Nel cristianesimo l'uso di immagini religiose è piuttosto tardivo. Le origini ebraiche della religione cristiana hanno indubbiamente influenzato i primi cristiani, che tra l'altro, in buona parte, erano essi stessi ebrei “convertiti”. Nella Legge di Mosé, infatti, sia la fabbricazione che il culto di immagini religiose erano severamente vietati e considerati “idolatria”. 

Perché un tabù così forte, come quello verso le immagini religiose, fu non solo superato, ma si arrivò all'estremo opposto, e cioè ad un uso generalizzato delle icone sacre? 

Ovviamente le conversioni più o meno forzate delle masse pagane al cristianesimo sono state determinanti nell'importare nella nuova religione le precedenti usanze, tra cui appunto l'uso di immagini e statue, usanze che sono state poi in qualche modo ufficializzate, con opportuni adattamenti teologici, da una chiesa sempre più attenta agli opportunismi propagandistici e alle esigenze devozionali piuttosto che all'ortodossia della dottrina.  

Tuttavia, non possiamo liquidare troppo semplicisticamente l'avvento dell'iconografia sacra nel cristianesimo come una semplice importazione di usi pagani. Va detto che ciò è potuto avvenire perché nel cristianesimo primitivo si erano andate delineando le premesse teologiche affinché questa operazione potesse diventare possibile. 

La svolta teologica fondamentale che aprirà la strada ad una progressiva paganizzazione del cristianesimo fu operata dal primo vero teologo della chiesa cristiana, ovvero san Paolo, detto appunto “apostolo delle genti” perché si dedicò prevalentemente alla conversione dei “gentili”, ovvero i non ebrei. 

Strano destino quello di san Paolo: da feroce persecutore del nascente movimento ispirato a Gesù (quando ancora era una semplice sètta ebraica gestita da gente semplice, in genere senza istruzione: pescatori, artigiani, donne, ex militanti di sètte antiromane, pubblicani, ecc.) a vero fondatore del cristianesimo, a cui diede, mediante le sue epistole, una prima vera sistemazione teologica. 

Non sapremo mai se la cosiddetta conversione di Saulo sulla via di Damasco, che poi prese il nome di Paolo, fu un reale cambiamento di idea, o non sia stato invece un calcolo ben premeditato, o magari il risultato di un movente inconscio, che spinse questo poliedrico personaggio, collezionista di titoli e di privilegi (era sia fariseo che cittadino romano) a passare dal perseguitare il cristianesimo ad impadronirsene sul piano culturale.  

Se il suo scopo era quello di eliminare gli aspetti politicamente più pericolosi del messaggio di Gesù, tale scopo è stato sicuramente raggiunto. Il Gesù di Paolo è un personaggio muto, è un agnello sacrificale: a Paolo di Gesù sembra interessare solo il corpo e il sangue, con i simboli ad essi connessi, non quello che egli disse.  

Nelle tante epistole di Paolo non abbiamo la citazione di una sola parola detta da Gesù, tranne, guarda caso, la descrizione della celebrazione dell'ultima cena, nella quale Gesù ha avuto l'insolito ruolo di celebrante, pur essendo stato sempre critico verso i rituali esteriori.  

E' comunque probabile che Saulo-Paolo possa aver pensato che un personaggio della sua cultura, in mezzo ad un manipolo di popolani un po' sognatori, sarebbe immediatamente diventato il massimo esponente spirituale, in grado di influenzare le linee teologiche di base, cosa che infatti avvenne. Ancora oggi queste basi teologiche sono fondamentali, dato che più di mezzo Nuovo Testamento lo ha praticamente scritto Paolo di suo pugno, a differenza dei vangeli che sono invece raccolte di varie tradizioni orali, anche piuttosto eterogenee. 

Per facilitare le conversioni al cristianesimo dei pagani (o forse per riconvertire il cristianesimo ad un blando paganesimo rispettoso delle autorità) Paolo operò dunque 2 importanti cambiamenti rispetto alla nascente chiesa di Gerusalemme, governata dagli apostoli: 

1.      appoggiò con molta decisione una definitiva sostituzione del cruento rito della circoncisione con il solo battesimo nell'acqua. Ciò non senza aspre polemiche con l'ala più conservatrice, che preferiva mantenere il cristianesimo all'interno dell'ebraismo e quindi riteneva fondamentale mantenere il rito della circoncisione come rito iniziatico anche per i cristiani ex pagani.                                      
 

2.      sostenne inoltre un'altra importante svolta teologica che si rivelò vincente ai fini della propagazione della nuova dottrina: il centro del messaggio cristiano non era più l'insegnamento etico ed un po' ascetico di Gesù circa l'amore incondizionato per il prossimo e per i nemici, la rinuncia a sé stessi, l'obbligo di donare ai poveri le proprie eventuali ricchezze, il rifiuto del commercio religioso, l'attenzione per i minimi, per gli emarginati, per gli ultimi, ecc. ecc., bensì il “sacrificio espiatorio” di Gesù e i benefici che ogni credente avrebbe potuto trarre da esso, a partire da una comoda salvezza personale ottenuta per semplice accettazione, senza particolari impegni a seguire leggi, comandamenti, prescrizioni, e men che meno gli austeri ideali evangelici, salvo una morale fondata su una rigida e nevrotica castità, che spinse Paolo a considerare persino il matrimonio non come istituzione basilare per la società, ma come un “male minore” rispetto ad una vita trascorsa nel continuo “pericolo” di cadere in tentazione. Tentazioni a cui lui però si riteneva immune, dato che scelse volontariamente il celibato. 

Anche se al tempo di Paolo i cristiani non usavano immagini religiose, ma solo simboli, (il culto delle immagini sarà ufficialmente adottato solo con il Concilio Niceno II dell'anno 787 e.v.) tuttavia è nella teologia paolina che troviamo il substrato teologico che ispirerà poi la chiesa a fare della croce prima e del crocifisso poi il suo simbolo principale.  

Ciò non era affatto scontato: le prime immagini di Gesù, se non per fini di culto quantomeno per fini pedagogici, risalgono al 3° secolo e.v. e lo ritraggono come “il Buon Pastore” della famosa parabola della pecora smarrita. In effetti non è ancora iconografia vera e propria perché si tratta di una rappresentazione grafica metaforica per fini di catechesi che non ha ancora sconfinamenti devozionali. 

Fra i simboli utilizzati dai cristiani primitivi ricordiamo il pesce, perché in lingua greca può formare un acronimo con le parole “gesù cristo figlio di dio salvatore”, il pellicano, perché nutre i piccoli stritolando i pesci che tiene a macerare nella sacca membranosa che pende dalla mandibola inferiore, dando così l'impressione che si trafigga il petto per farne uscire il sangue, il chirmon, una sorta di “P” e “X” sovrapposti, che corrispondono alle lettere greche “chi” e “ro”, prime due lettere di cristòs)

Seguendo la logica dei vangeli dovrebbe essere quantomeno possibile intravedere nella risurrezione, e non nella crocifissione, la rappresentazione più eminente e gloriosa del Cristo, che ogni buon cristiano dovrebbe accettare “per fede” come realmente accaduta, sebbene si tratti evidentemente di un mito che serviva a non disperdere il movimento di Gesù, anzi a poterlo rilanciare nonostante l'enorme delusione della condanna a morte, sopraggiunta proprio quando i discepoli si aspettavano l'acclamazione popolare di Gesù come Re dei giudei.  

Acclamazione alla quale peraltro lo stesso Gesù credeva, dato che entrò in Gerusalemme sul dorso di un'asina, cosa che nella simbologia ebraica equivaleva a proclamarsi Re. Fu infatti in quella sola occasione che fu chiamato dai suoi sostenitori “figlio di Davide”, il più prestigioso Re di un passato glorioso in cui Israele non era ancora scisso in Giudea e Samaria. 

Il vestito da Re, perlomeno, era già pronto: quando fu arrestato Gesù indossava una “tunica senza cuciture”, costosissimo abbigliamento riservato ai potenti, dettaglio che tra l'altro evidenzia l'esistenza di finanziatori che con ogni probabilità avevano il fine politico di suscitare una ribellione aperta contro gli odiati romani, anche strumentalizzando il carisma che si supponeva che Gesù esercitasse sulla gente. In realtà questo carisma non doveva essere così coinvolgente se è vero che Barabba ottenne più preferenze per ottenere l'amnistia annuale in occasione della Pasqua.  

Queste considerazioni discendono dai recenti sviluppi della ricerca storico-critica e, come si noterà, spazzano via ogni calunnioso pregiudizio su concetti farneticanti in merito a presunte “colpe” dei giudei circa la condanna a morte di Gesù. Tale condanna da parte del procuratore romano appare quantomeno fondata, sul piano giuridico-legale dell'epoca. Nessuno Stato può tollerare un tentativo, per quanto grottesco, di sovvertire le istituzioni. Figuriamoci i romani.  

Tornando alla risurrezione, nonostante il furore iconografico cattolico abbia prodotto migliaia di immagini devozionali, dal cuore di Gesù a quello di Maria, da Gesù bambino alla annunciazione di Maria, dalle sindoni alle madonne nere, curiosamente non abbiamo quasi mai immagini del Cristo risorto. 

Una rappresentazione della risurrezione non avrebbe però avuto un grande impatto “pubblicitario”, perché in effetti il tema è troppo astratto per suscitare meccanismi  di identificazione. Non ci si può identificare perché nessuno è mai risorto, né si tratta di un evento plausibile. Mentre la crocifissione, al contrario, ci ricorda quantomeno la sofferenza della vita umana, e quindi  produce simpatia, solidarietà, immedesimazione. 

Comunque, un simbolo di risurrezione sarebbe potuto essere l'emblema di un cristianesimo fondato sulla vita e sulla speranza, invece la storia ha voluto che prevalessero le croci, quali emblemi di un cristianesimo fondato sulla morte, sul senso di colpa, sui peccati da espiare. 

Sarebbe veramente divertente proporre in qualche scuola di sostituire i crocifissi con l'immagine di un Cristo che risorge dal sepolcro! Il netto e paradossale rifiuto che si riceverebbe, metterebbe in cruda evidenza l'attaccamento cattolico ad una cultura di morte, di negazione, di cieca intolleranza persino contro gli aspetti meno orribili dello stesso cattolicesimo. 

Anche in campo iconografico, le scelte della Chiesa non sono state mai casuali. E' ovvio che in una logica finalizzata a strumentalizzare la devozione popolare per motivi di potere e privilegio, un Cristo crocifisso può rappresentare un utile monito, un modello di devota rassegnazione ad una sofferenza necessaria, da cui nemmeno colui che è definito come signore e salvatore ha potuto sottrarsi. 

Anche i criteri che hanno guidato la definitiva rappresentazione grafica della croce, non potevano non tenere conto di esigenze propagandistiche. Ogni dettaglio devozionale deve riscuotere un consenso popolare basato su credenze già consolidate. Questa è la regola cattolica fondamentale. La stessa chiesa ammette di basarsi su due fonti di rivelazione: la sacra scrittura e la tradizione. Quindi la croce andava rappresentata in modo riconoscibile e gradito ai fedeli. Non doveva più sembrare uno strumento di tortura, ma quasi un altare sacrificale. Infatti, la croce “cristiana” deriva da quel simbolo che oggi è conosciuto come “croce celtica”, che pare risalga a circa 10.000 anni fa. Più che un simbolo, un vero archetipo. 

La croce a forma di “più”, il segno dell'addizione, ovvero a 4 braccia, somiglia solo vagamente alla croce usata dai Romani come strumento di morte. Quest'ultima infatti era più simile ad una “T” (un palo a cui si appendeva il patibulum, l'asse orizzontale) e talvolta ad una “V” rovesciata: in pratica, due pali appoggiati fra loro. 

Ma come dicevamo, la chiesa è sempre stata molto attenta, da san Paolo in poi, ad appropriarsi dei preesistenti miti pagani. Non era importante la fedeltà realistica ma l'evocazione di sentimenti. Sovrapporre Gesù ad uno dei simboli più antichi e universali non poteva che accrescere il prestigio della chiesa.

La cosiddetta croce celtica rappresenta tutto ciò che un uomo dell'antichità poteva sapere del suo mondo: una linea verticale che rappresenta il cielo, o meglio la linea di connessione ideale fra terra e cielo, una linea orizzontale che rappresenta la terra, un cerchio in mezzo che rappresenta il sole. Inoltre le 4 braccia della “croce” sono anche le 4 direzioni nord-sud-est-ovest nonché i 4 elementi terra-acqua-aria-fuoco. La croce celtica era chiamata "ruota del sole", i cui raggi dividono l'anno in quattro stagioni e mostrano il movimento del tempo.

Nell'antichità, qualcuno avrà certamente notato che il Cristo crocifisso sulla croce conteneva una metafora perché la cosiddetta croce celtica aveva un cerchio in mezzo, ovvero il sole. Gesù crocifisso sulla croce a 4 braccia evidenziava quindi una sostituzione: Gesù al posto del sole! Non sarà certo un caso se la nascita di Gesù fu fatta coincidere con la nascita del Sole Invitto.

Va detto che il termine “croce” deriva dalla parola latina crux che a sua volta potrebbe derivare dal greco colux, ovvero palo.  

E' divertente notare un certo imbarazzo da parte dell'iconografica classica, perché quando raffigura Gesù in mezzo ai due ladroni (dato storicamente dubbio: la crocifissione era per  i ribelli e i traditori, non per i delinquenti comuni) pone questi ultimi su una croce dalla forma più attendibile, a forma di T, mentre la croce di Gesù sarebbe a 4 braccia. Nessuno pare domandarsi come potevano i Romani riservare a Gesù un modello speciale di croce. Per quale motivo, poi? Il vero retroscena di questa contraddizione grafica sta nella necessità di far coincidere la croce di Gesù con l'importante archetipo della croce “quadridirezionale”. 

Va ricordata una curiosità: il più antico crocifisso è stato disegnato intorno al 200 e.v. per motivi satirici. Si trova a Roma, al colle Palatino, nell'antica scuola per gli schiavi addetti al servizio imperiale. L'uomo crocifisso ha però la testa di un asino. A completare l'irriverente vignetta c'è anche una didascalia: “Alexamenos adora dio”. Probabilmente l'autore è un amico di tale Alexamenos, che ha voluto prendere in giro quest'ultimo per la sua conversione al cristianesimo. 

Un ulteriore motivo per cui la teologia del sacrificio espiatorio costituì un vantaggio per la diffusione del cristianesimo presso i pagani, è costituito dal fatto che tutte le religioni primitive presentano qualche rito espiatorio di purificazione, basato sul sacrificio di qualche animale. Non era una affatto una novità che si attribuisse al sangue una forza rigeneratrice.

 Questa strategia teologica e al tempo stesso psicologica, consistente nell'adottare e fare propri temi universali o comunque già presenti nella cultura dominante, nella pratica religiosa popolare, nell'inconscio collettivo e nella psiche individuale della maggioranza degli individui, caratterizzerà tutta la storia della chiesa.  

Grazie al compiacente cristianesimo paolinico, la conversione dei pagani non sarà più fondata su una difficile opera di convinzione, sul richiamo a rigidi valori morali, ma sarà facilitata dalla compiacente cristianizzazione di temi religiosi già diffusi.

E' su queste basi che si sviluppa anche il mito della “divinità” di Gesù, nonché della nascita da una vergine, tutti temi molto ricorrenti nella religione greca e nelle altre religioni mediterranee.

Come già detto, l'unica vera costante della storia del cristianesimo è l'incredibile capacità della chiesa di impadronirsi e strumentalizzare ogni singolo elemento delle vicende umane: gli archetipi, i temi di altre religioni, le tradizioni popolari, le esigenze psicologiche, le regressioni infantili, le tendenze superstiziose, la paura della malattia e della morte, le ricorrenze del calendario, i miti ancestrali, i significati di equinozi e solstizi, le consuetudini, i territori, gli spazi visivi, gli spazi acustici, persino il tempo, scandito dalle campane e dalle messe vespertine, nonché le fasi della vita umana: la nascita, l'infanzia, l'adolescenza, il matrimonio, la fase terminale della vita, il funerale, la sepoltura dei defunti.

 

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Riccardo Calimani, Gesù ebreo, Oscar saggi Mondadori, 2001

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Karlheinz Deschner, La Chiesa che mente, Massari Editore

Karlheinz Deschner, Il gallo cantò ancora, Massari Editore

David Donnini, Cristo: dopo 2000 anni il caso si riapre, Massari Editore

David Donnini, Gesù e i manoscritti del Mar Morto, Coniglio Editore, 2006

Leo Zen, L'invenzione del cristianesimo, Editrice Clinamen, 2007

Corrado Augias e Mauro Pesce, Inchiesta su Gesù, Mondadori, 2006

Corrado Augias e Cacitti Remo, Inchiesta sul cristianesimo. Come si costruisce una religione, Mondadori. 2008